Uber sì o Uber no? Questo è l’interrogativo che circonda insistentemente da mesi l’innovativo progetto di trasporto privato ormai avviato otto anni fa negli Stati Uniti.
Ma come funziona, e perché continua a sollevare tante polemiche? Tra sciopero dei taxi, sentenze dei tribunali e opinioni discordanti, conosciamo meglio questo progetto-fenomeno.
Azienda nata nel 2009, con sede a San Francisco, si propone di fornire un servizio di trasporto privato alternativo a quello tradizionale offerto dai taxi. Tramite un’applicazione mobile, i clienti possono prenotare un passaggio e sapere in tempo reale la posizione dell’auto prenotata e le tempistiche ad essa legate.
Il progetto tenta di coniugare la parola semplicità, rendendo smart il servizio non solo per i clienti ma anche per gli autisti. I requisiti per diventare un autista di Uber non sono infatti molti e passano attraverso una procedura semplice che dimostri la capacità di guida, e l’idoneità del proprio veicolo, oltre che l’abilità di interagire tecnologicamente con l’applicazione mobile dell’azienda.
Accessibili appaiono anche i prezzi, con le corse entro i 18 km calcolate in base alla distanza percorsa, e quelle oltre, basate invece sulla durata (al pari dei taxi). Questo e molto altro hanno reso il progetto tra i più interessanti immessi sul mercato negli ultimi anni.
Lanciata nel 2013, l’app ha avuto fortune alterne nelle città italiane; i primi esperimenti sviluppati a Roma, Milano e Firenze, hanno fatto registrare l’apice con UberPop (versione tra privati senza autisti con licenza rilasciata dall’azienda), ma in seguito allo stop del Tribunale di Milano il progetto ha subito un calo.
Tentativi di dialogo tra Uber e la politica sono stati fatti, per cercare di aggiornare regolamentazioni nelle licenze dei trasporti ormai obsolete davanti questo tipo di tecnologia; invane invece le prove di convivenza con i tassisti, sul piede di guerra dall’esordio dell’app.
E proprio il difficile rapporto tra Uber e taxi è alla base delle polemiche scoppiate negli ultimi mesi. Davanti la prospettiva di licenze “facili”, accessibilità istantanea al lavoro di autista, e prezzi ultra competitivi, i tassisti non hanno accettato una concorrenza definita più volte “sleale”.
Se da un lato, infatti, le lacune regolamentari hanno fin qua fatto apparire labile il confine tra il lecito e l’illegale nel lavoro degli autisti Uber italiani, una recentissima sentenza del Tribunale di Roma ha gettato definitivamente le basi per quello che potrebbe essere un addio prematuro dell’app nel Belpaese.
Pronte le reazioni, tra sindacati dei tassisti che festeggiano la vittoria, e vertici di Uber pronti a fare ricorso, appoggiati dal Codacons, che definisce “abnorme” la decisione.
Difficile dire chi l’avrà vinta.